Nomen Omen (aka “Marco nel mio diario ho una fotografia”)

Marco.
Stanotte ho sognato un uomo che si chiamava Marco, era un ingegnere e viveva ancora con i suoi genitori… Era alto e moro e mi dispiace non era quello che avevate pensato…
In realtà, erano un po’ di giorni che, in uno dei tanti viaggi in solitaria in macchina, pensavo a questo nome e, come al solito, a tutte le persone che ho incontrato nella mia vita che lo portavano, dei quali meritano menzione solo tre attualmente. Mi è venuto in mente che Marco è un nome che mi piace tanto, è un nome figo, è il nome di un figo, cioè di uno che sta sul pezzo, capite? Non sono tanto convinta di quest’ultima parte, ma vediamo se la situazione migliora con il progredire del post.
Comunque, per dirlo, ci sono alcuni incontri nella vita che restano o di cui ti ricordi perché ti beccano in certi momenti importanti della tua vita, per questo, ogni tanto, me ne esco con la solita frase: “per me meritano un’attenzione particolare” ed, evidentemente, i Marco sono arrivati nei momenti giusti e, a questo punto, come minimo, i Marco che stanno leggendo questo post e sono presenti nella mia vita, o lo sono stati, anche se credo che solo uno di loro potrebbe star leggendo questo post, dovrebbero già avere gli occhi lucidi, vi sto dedicando un post, non so se…

Marco era il figlio del mio vicino di casa, quello del piano di sopra, era tanto affezionato a me e mio fratello. Sua sorella ci faceva da babysitter, quindi, ogni tanto, veniva anche lui da noi e io, da brava bimbetta (secondo me tutto potrebbe essere successo prima dei 6 anni), ero innamorata di lui e pensavo che lui lo fosse di me, cioè ero convinta di piacergli, ma solo molto anni dopo (o forse no) mi sarei resa conto che la cosa non era possibile e che questa tendenza di immaginarsi le storie d’amore sarebbe stato un grandissimo problema nel corso della mia vita. Era alto, moro, occhi azzurri, tatuato e sorridente, un mix esplosivo in sostanza e pericolosissimo. Mia madre mi ha raccontato che, quando veniva a salutarmi con la sua ragazza del periodo, facevo la bambina acida e impertinente e mi tenevo stretta stretta il MIO Marco, perché era MIO, non curandomi della presenza di lei. Tsk!! Qualche anno fa credo abbia preso un gatto, probabilmente nella fase zitella della sua vita e quando tornava a casa e metteva la macchina nel garage, proprio di fronte al mio balcone, lo chiamava, aspettava che uscisse e gli urlava frasi d’amore dal cortile e lì, ho cominciato a fare delle domande a me stessa, a chiedermi se fossi davvero sicura che potesse piacermi uno che faceva così con un gatto, poi abbiamo toccato la fase ornitologa (equivoca questa!) e le sue sopracciglia erano diventate talmente “a gabbiano” che quando lo incontravo per le scale, abbassavo lo sguardo vergognandomi del fatto che non mi era ancora chiaro che solo a Cara Delevigne stanno bene le sopracciglia da procione, poi ha avuto un figlio e quando arrivano i figli, finisce il desiderio, di qualsiasi tipo esso sia.

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Marco era il cugino di una mia cara amica, quando aveva 12 anni, era un po’ esagitato e picchiava la gente, o forse erano solo i suoi fratelli. Media altezza, moro, capelli lunghi, abbronzato e campagnolo, un altro mix esplosivo in quella fascia d’età. Quando l’ho visto la seconda volta aveva 16 anni e io 13, mi sentivo una ragazzina stupida (e lo ero) e, come spesso succede, si era accorto che mi faceva un certo effetto, tipo una paralisi facciale ebete quando mi rivolgeva la parola. Non era della mia zona, per cui vederlo era un’occasione davvero unica, capitava poche volte, in genere nelle feste comandate: la solita grigliata di pasquetta era diventata, improvvisamente, la cosa più bella che potesse capitare.
Abbiamo una foto insieme, che non so dove sia finita, sarà in fondo ad un cassetto, ma ricordo che la custodivo con tanta cura. In quella foto faceva il dito medio, era un duro!!! Ci eravamo scambiati i numeri di cellulari, o più facilmente ero riuscita ad ottenerlo in qualche modo, e credo ci fossimo scambiati dei messaggi abbastanza inutili. Un giorno gli ho fatto uno scherzo telefonico, ma a quel punto mi era già passata la cotta perché, altrimenti, conoscendomi, non l’avrei mai fatto. E poi l’ho rivisto qualche anno dopo, quando sono andata a casa sua con i miei genitori, forse 16 anni li avevo io e mi chiedo se siano passati così tanti anni da allora, non ricordo, ma in quell’occasione ho conosciuto la sua fidanzata e ho pensato: “are you fuckin’ kiddin me?”. D’accordo, che fossi un campagnin (espressione tipicamente piemontese) me ne ero accorta, che la tua carriera negli studi non sarebbe stata brillante anche, ma sul serio stai con una nana tamarra e pure cessa? “No, Maria, io esco” ed è finita cosí, lui continua a stare con lei e io penso che, nella vita, ci si accontenta sempre troppo e ho appena notato che ho ancora il suo numero di telefono salvato in rubrica e andrò a controllare la sua foto profilo whatsapp, ma tanto con l’avanzare dell’età peggiorano tutti.

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Marco è un nuovo amico, cioè non so se è proprio un amico, nel senso che ci conosciamo da poco, o almeno, abbiamo cominciato a conoscerci un po’ seriamente da poco, per questo mi sembra strano definirlo “amico”, perché ho sempre pensato che gli amici potessero essere solo quelli che conosci da una vita, ma le convinzioni che ho sempre avuto si stanno sgretolando con un certa rapidità ormai, quindi non posso dirlo con certezza. Medio basso (che potrebbe essere simile e medio alto), biondo, occhi scuri, spalle definite e simpatico. Non so se avete notato la progressione (o regressione) di altezza dal primo. La prima volta che ci siamo visti si è presentato, la seconda volta che ci siamo visti si è presentato, la terza volta che ci siamo visti si è presentato, la quarta volta che ci siamo visti si è presentato e io, ogni volta, pensavo “Ma che cazzo! Ce la fa?”. Caro Marco, so che stai leggendo, pensa a come potrebbe sentirsi una persona dopo la quarta volta che ti sei ripresentato (e mi viene da ridere). Un anno dopo, quando finalmente aveva imparato il mio nome, è nato un amore, abbastanza improvviso, un amore platonico, state sereni! E adesso testeremo la mia capacità di osservazione e la mia bravura a evitare di giocarmi le amicizie…
Vena artistica e vena ingegneristica si incontrano nel suo cervello e nel mio, invece, risultano assolutamente incompatibili, ma Gardner mi farebbe un pippozzo sulla teoria delle intelligenze multiple per quello che ho appena detto. E’ caotico a tratti e potrebbe risultare disorganizzato, ma può diventare incredibilmente pignolo se le tue capacità di usare excel si limitano a scrivere un elenco in caselle, dimostrando anche delle difficoltà nel farlo. È un buono, uno di quelli che va via per ultimo o si propongono di aiutarti se hai bisogno di una mano. Ha bisogno di supporto, non intendo di un insegnante di sostegno, ma di supporto morale o solidarietà, che dir si voglia, cioè di qualcuno che gli dia delle conferme, di qualcuno che lo guardi e gli dica che gli è venuta in mente esattamente la stessa cosa che sta pensando anche lui, del tipo: “sono d’accordo con te, penso sia una buona idea”. Spesso ci sentiamo per telefono e mi faccio un sacco di risate perché parliamo veramente di cose a caso e nessuno dei due ci capisce mai un cazzo, e per questo è ancora più una figata, perché nella follia generale dei nostri cervelli ci intendiamo. E’ un moderatore, uno di quelli che non litigherebbe con nessuno, spesso facendosi venire il sangue amaro pur di evitare il “conflitto”, e fa strano sul serio vederlo o sentirlo arrabbiato, non te lo aspetteresti. E’ uno gioviale con tutti, affidabile e non credo sia capace di dire bugie (e spero di averci azzeccato), e siamo in due, evviva.  Dai, Marco, la gente lasciala stare, andiamo a mangiare il sushi?

Oggi un amico mi ha detto che noi donne siamo troppo esplicite e che dovremmo esserlo di meno, ma io non ce la faccio, quindi dico che sono arrivata alla fase in cui sono già troppe ore complessive che sto dietro a questo post e non so come chiuderlo. E lo finirò così, con una canzone di Marta sui Tubi, solo perché contiene un “caro Marco” e la canzone della Pausini la tengo per il titolo.

Guarda che a volte la cosa
più semplicemente umana
lasciare il controllo del male,
le Reti, le Diete,
e se è il caso di perdere parti di sé.Non ho pianto
questo è certo
ma era un sogno
ho un ricordo:Caro Marco,
ti scrivo dal profondo del mare,
nascosto dentro un giardino di corallo
a riparo dagli squali
ma invisibile per le sirene.
Quando ne ho voglia
alzo gli occhi e guardo il sole
attraverso un milione
di miliardi
di metri cubi d’acqua
e finalmente
non mi bruciano più gli occhi.

 

Proprio cosí (aka se qualcuno mi avesse chiesto…)

Se qualcuno mi avesse chiesto di immaginarmi un sabato pomeriggio dei miei 22 anni, lo avrei portato con me, oggi, nel sotto teatro, e mentre scendevamo fatto le scale, gli avrei raccontato che quello era un posto magico, perché quello che costruisci con le tue mani, è comunque un’opera d’arte e insieme avremmo suonato la batteria, dividendoci i pezzi, io gran cassa, perché il ritmo lo do bene, tu charleston e rullante e lui ride e tom, tra un “zap” e uno “zappa tu che zappo anch’io” detto ad alta voce per non perdere il tempo, con gli occhi chiusi per mantenere la concentrazione, mi sarei detta che cosí tante volte cerco qualcosa di meglio, lo pretendo con smania vorace e non mi accorgo che niente di tangibile arriva, che dipende solo dal tuo modo di guardare le cose, che è già tutto qui, poi lo avrei guardato, non sarei riuscita a trattenere un sorriso, perché é proprio cosí che mi immagino, a suonare, perché l’amore per la musica è proprio quello che ci unisce così.

Cinematografa (aka opinioni opinabili su XMen- Days of future past)

Wolverine è Wolverine.
Ma Eric e Charles con le sembianze di Micheal Fassbender e James McAvoy vincono su tutti i fronti.
James versione fricchettona vince su Logan con la vena in superficie, e poi Wolverine non era stato nemmeno ancora adamantizzato.
Micheal è talmente convincente con il suo visetto che, per un momento, ho creduto davvero che potesse essere Magneto la causa della morte di Kennedy.
Quicksilver (aka un grigissimo Evan Peters) ha preso parte alla scena piú bella di tutto il film, probabilmente. La
scena è stata talmente epica da avermi fatto sentire meno pressante il conato
istintivo di urlare “cazzo, potevate dare un po’ più di importanza a questo mutante” e non voglio pensare alle dipartite di ormoni quando in Avengers 2, il ruolo sarà ricoperto da Aaron Johnson, non so se mi spiego.
Nicholas Hoult, nonostante riesca solo ad immaginarmelo in versione Tony di Skins, mi piace con le vesti da nerdaccio geniale, è cosí tenero!!
Jennifer Lawrence, fa paura (punto). Mystica è il sogno erotico di ogni uomo e donna (me compresa), in blu, giallo e rosso e in qualsivoglia modalità.
Un bel marvel (as usual), qualche mancanza sul piano logico e cronologico, che si dimentica velocemente con la bravura dei protagonisti. Una bella colonna sonora e un bel tuffo nel cuore degli anni ’70, garantiti non solo dalla musica, ma anche dai guardaroba trashissimi.
Approvato. Con un bel 7,5… Degnissimo per un film sui supereroi, è che supereroi.

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Disagio d’autore (aka “La vita è un po’ come il jazz… è meglio quando si improvvisa”)

“Io non so parlar d’amore, l’emozione non ha voce, e mi manca un po’ il respiro…”

Sono molesta, senza freni. Si salvi chi vuol e mi fermi chi può!
Dopo aver constatato che secondo un inutile test (inutile, perché prepotentemente non ne accetto il risultato), il mio cervello funziona a logica, strategia e razionalità per il 75%, ho sentito la necessità di sgolarmi celermente una birra perché, a dire il vero, quel 25% di restante chaos, non mi fa dormire la notte.

Mi chiedo tutto ciò da dove abbia origine. Quanto c’entra con la produzione di estrogeni e progesteroni e il brutale sfaldamento dell’endometrio (non spaventatevi) che mensilmente turba l’equilibrio psico-fisico della categoria donna? Nel più probabile dei casi, la risposta di un maschio medio sarebbe un “SÌ”, prepotente e altezzoso, seguito da una ripetizione del “SÌ”, questa volta esasperato, secondo la logica dello sfinimento, più “è quel tuo maledettissimo ciclo mestruale che provoca il tuo inutile disagio mentale, fisico e sociale” e un “te l’avevo detto” inopportunamente aggiunto. Ma per fortuna o meno (dipende dai punti di vista!) non ho al mio fianco un maschio medio che mi spiattella questo genere di cose. E no, non è il ciclo mestruale, non è la primavera e non sono gli ormoni, è la mia anima che parla!

Ieri ho riletto alcuni post, la questione blog ha preso una piega completamente diversa dai presupposti iniziali, questo a dimostrazione che la mia mente non è logica e razionale e il vettore T (tempo) è un bastardo inesorabile. Cazzo, la mia vita sta cambiando, ma io dove sono? Sono a metà tra scetticismo e fede, troppo poco empirismo e troppa filosofia, ma mi viene da dire, non è poi tutta la stessa roba?

Perché non riesco a fare un discorso che abbia un unico topic? Sto cominciando a capire quale fosse il problema al liceo dei miei temi e perché quei “6” tirati, sembravano la cosa più bella del mondo. Alla fine Joyce e Svevo sono anche stati sufficientemente letti a seguire il loro stream of consciousness, posso stare serena, quando sarà il momento di scrivere la tesi di laurea comincerò a preoccuparmi!

Ella Fitzgerald accompagna il mio fiume sulle note di “Cry me a river” e sono magicamente catapultata a Bourbon Street, sono jazz e Gershwin diceva “la vita è un po’ come il jazz… è meglio quando si improvvisa”, il ritmo è scandito, sincopato e il piede come il corpo non può fare a meno di seguirlo, è la mia anima che ascolta!

Starei ore e ore e ancora ore a scrivere di sconnessioni, perché spero di trovarne la fine. Ma la punteggiatura non mi appartiene, non metto fine alle cose, sono loro che mi (s)finiscono. Le conclusioni ad effetto non mi sono mai riuscite e di perle di saggezza ne tiro fuori poche.

 

 

 

 

Amare o amore, c’è differenza? (aka cadenza di inganno e fiato sospeso)

Sabato, ero felice per te, mi sono emozionata quando ti ho vista ma rimango con i piedi per terra, perché ne hai bisogno. A volte mi faccio prendere dall’entusiasmo quanto te, ma devo rimanere salda, non voglio deluderti. 
Eri luminosa, brillante e sorridente, sono poche le volte in cui ti ho vista così e mi piace. 
E tu, sei sfuggente, sei l’inquietudine che ti lascia un crescendo, un fiato sospeso, una cadenza di inganno, mi vengono in mente Gershwin o Ennio Morricone, interminabili, profondi, certi nell’incertezza, ho cercato le tue parole, ho cercato i tuoi occhi dentro i suoi, e con tutto il cuore ho sperato che parlassero la stessa lingua, che vi guardaste e capiste. 
Sento il battito del vostro cuore, del suo cuore e anche il mio sobbalza, condividere è amare o amore, c’è differenza? 
“Si puó fare”. Sento, non esterno, ma sento che è grande, è un flusso, quel
flusso di cui mi parli tanto, quella stretta alla stomaco, quei sospiri. 
“Questa volta”. Ti vedo strana, determinata e forte, e se fosse la famigerata volta? Un po’ di meriti me li prendo, sono orgogliosa. 
“Sei pronta”, sei energia vitale, sei una carica che trascina e non posso averlo notato solo io. 
“Viva” e se qualcosa ti rende così, devi lottare.

One Direction (aka Verso l’infinito e oltre) Midnight Memories di una improvvisata sociologa fanatica.

Vorrei fare una tesi sul fenomeno One Direction, uno studio di comunità “Directioners” potrebbe funzionare, sociologicamente parlando.

Il fenomeno “One Direction” nasce per un esperimento di laboratorio ideato dalla Simon Cowell Ent. nel 2010 circa, al tempo i 5 soggetti erano affetti da, quello che mi sento di definire, un atteggiamento di imprenditorialismo precoce, anche noto come, presunzione latente dell’adolescente medio. Simon, preso più da un eccessivo entusiasmo che da una vera strategia di marketing, decise di connubiare (consideratelo un neologismo) i DNA dei soggetti in un mix esplosivo di occhi arcobaleno e bei visetti, inconsapevole di quale sarebbe stato il risultato.
Gli “One Direction” nel giro di tre anni hanno raggiunto un budget di circa 50 milioni di dollari, classificandosi come <Top New Artist> nella rivista BillBoard, dal 2011 ad oggi sono all’attivo con 3 Album, per un totale di circa 40 singoli.
Intorno al fenomeno sono nate una serie di altre piccole grandi realtà, la più nota, a cui una parte della ricerca è stata adibita, è rappresentata da quelle che chiameremo “Directioners”, questa realtà risponde ai requisiti minimi per entrare di diritto nella categoria comunità, che secondo il suo significato sociologico e antropologico presuppone un’identità comune, una storia comune, ideali condivisi e tradizioni e costumi simili.
Dall’osservazione partecipante, curata personalmente dalla sottoscritta, nell’arco di una giornata condivisa con i “nativi”, la comunità è composta principalmente da genere femminile di cacciatori-raccoglitori, che si prodiga nella cacciagione dei posti migliori nelle cerimonie rituali ufficiali; l’età media non supera i 18 anni.
Le “Directioners” si distinguono per la loro isteria nevrotica (rafforzativo!) connessa a frequenti crisi di pianto in presenza dei soggetti dell’ esperimento.
Nel corso del soggiorno nativo, ho appurato che la comunità condivide, quello che Freud (del quale ho in comune poco) ha individuato come Complesso di Edipo, che nella sua versione femminile, è noto come Complesso di Elettra.

L’odio reciproco e il risentimento nei confronti della ipotetica Madre (Natura, Shakti, Elettra, chiamatela come volete) è quello che, paradossalmente, unisce così potentemente questa comunità nell’amore totemico verso l’unica direzione (notare la parafrasi).
Grazie alla mia breve ricerca sono giunta a conclusioni inaspettate, che da
sempre, permettono di suscitare nel lettore e nella medesima, reazioni e cambi di opinione inaspettati e repentini. Il codice “Directioners” ha attirato la mia attenzione, ho cercato approfonditamente ma in breve tempo di entrare a far parte della comunità, con risultati sorprendenti. Mi sono ritrovata a googlare in fretta e furia per raccogliere quanti più dati oggettivi sul fenomeno e nella fretta (o meno) sono capitata nella playlist ufficiale di Vevo che proponeva o propinava, per l’esattezza 48 video clip, targati “One Direction”, per completare al meglio la mia tesi ho, necessariamente, ascoltato quello che i soggetti avevano da dirmi e in conclusione, approvo questa comunità, approvo l’entusiasmo inconsapevole di Simon quando ha iniziato l’esperimento e approvo i cinque soggetti, che ad essere sinceri hanno proprio un bel faccino, ma non solo, sono orecchiabili, ma cosa più importante trasmettono gioia, speranza e voglia di vivere, che è la cosa di cui abbiamo bisogno.

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