“Questione di tempo” (aka voglio augurarmi che…)

Sono due giorni che provo a scrivere qualcosa, perché penso che sia l’unico modo che ho per liberarmi dei pesi che mi porto dietro, sempre con troppa insistenza, come se volessi dimostrare a qualcuno che ce la posso fare, che sono brava a resistere, ma con l’unico risultato di imprigionare solo me stessa. E stasera ho visto un film, è un mese che lo voglio guardare e che ogni tanto lo carico in streaming, ma poi non lo guardo mai, forse perché non era mai stato (fino a stasera) il momento giusto per guardarlo. Perché le cose arrivano sempre quando è il loro momento, e io ho bisogno che ogni volta qualcuno me lo ripeta. A volte è un libro, a volte è una persona che conosco da una vita, a volte è uno sconosciuto, a volte (come in questo caso) è un film a dovermelo dire e “quando meno te lo aspetti” è la frase che ufficialmente odio di piú nella vita.

“Questione di tempo”… è già tutto nel titolo. E questo, sí, sarà un post al diabete probabilmente. Avrei voluto scrivere in questi giorni, un post arrabbiato, sarcastico, triste… ma non ci sono riuscita.

È stato un film profetico… sí d’accordo, dico spesso che le cose sono profetiche, l’ho detto anche per il cappellino da babbo natale ritrovato prima del concerto la scorsa settimana, forse “profetico” potrebbe anche essere usato come sinonimo di “giustificato”, quindi il fatto che avessi trovato il cappellino da babbo natale poco prima del concerto ha giustificato il fatto che lo dovessi indossare a tutti i costi, contro la mia volontà, ma torniamo alle cose serie. Il film è stato profetico perché a due giorni dal termine del natale, ha giustificato il fatto che io abbia passato due giorni a piangere, forse perché le feste erano decisamente passate troppo in fretta e la mia euforia mi aveva abbandonato addirittura prima di cominciare qualsiasi cosa, forse per giustificare il fatto che, mannaggialaputtana, vivo la vita a cuore pieno, nel senso che ogni volta rischio un tracollo cardiaco per le aspettative che dico di non essermi fatta sulle cose, le situazioni, le persone.

Tutte le volte ci casco… come quando partorisci un bambino, non che io sia pratica e nemmeno del tutto convinta che sia la metafora piú adatta, ma dicono tutti che, incredibilmente, la volta dopo non ti ricordi del dolore che hai provato quella prima. In realtà io me lo ricordo bene il dolore, e questo rende fallimentare la metafora del parto, ma l’unica cosa che conta è che alla fine ci casco sempre, non si sa bene per quale congettura astrale e intanto, mi sto già perdendo.

Volevo solo dire che le cose succedono, che le persone entrano continuamente nella nostra vita, per una sera soltanto, per molto tempo o per sempre, ma questo non le rende meno importanti, perché hanno sempre qualcosa da dirci, sí, a volte sono cose molto stupide, ma tutte le altre magari no. E la vita va vissuta cosí, come viene, senza le angosce del futuro e senza la nostalgia dei ricordi. Hic et nunc, qui e ora. Quindi, è vero che ci sono giorni in cui ti senti un po’ piú vivo degli altri, perché hai fatto un bel sogno, perché è andato bene un esame, perché qualcuno ti ha detto che ti vuole bene, perché hai mangiato un bel piatto di pasta o perché qualcuno ti ha guardato e ti ha fatto sentire bella. E poi ci sono quei giorni , in cui tutto questo non succede, ma tu sei vivo lo stesso. Certo, se la vita fosse sempre scintillante sarebbe meglio, certo, vorresti che quelle sensazioni fossero sempre presenti, ma non lo sono e questa nostalgia canaglia contribuisce solo a non farti godere delle piccole e belle cose che ti circondano. È vero, non ha senso, non tutto ce l’ha, o almeno, adesso no, ma il fatto di pentirsi sempre di aver provato anche solo per qualche ora un po’ di quelle sensazioni, ce l’ha ancora meno e tutto diventa così pesante, quando invece era nato con l’intento contrario.

Per cui, a me che sembra tutto così difficile, voglio augurare questo “… vivere ogni giorno, come se avessi deciso di tornare a quel preciso giorno, per godermelo come se fosse l’ultimo della mia straordinaria, normalissima vita!” (Questione di Tempo). Non sarà facile, basti pensare al fatto che ho scritto questo post ieri notte e questa mattina mi sono svegliata lo stesso con un macigno sul cuore, ma repetita iuvant e io ce la posso fare.

“E così mi ha svelato la sua ricetta segreta, della felicità. La prima parte del programma era continuare a fare la mia solita vita, vivendo giorno per giorno, come fanno tutti… Ma poi c’è la seconda parte del programma di papà. Mi ha detto di vivere due volte lo stesso giorno senza cambiare quasi niente. La prima volta con tutte le tensioni e ansie che ci impediscono di vedere quanto sia bello il mondo e la seconda volta VEDENDOLO”

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Quante emozioni si possono provare in 10 giorni? (aka Ti racconto la mia vita)

QuLuceante cose possono succedere in 10 giorni? Quante parole si possono dire in 10 giorni? Quante emozioni si possono provare in 10 giorni? Quante volte esci di casa in 10 giorni? Quante volte ti siedi e ti rialzi in 10 giorni? Quante volte fai la pipí in 10 giorni? Quanta acqua bevi in 10 giorni? Quante sigarette fumi in 10 giorni? Quante persone incontri in 10 giorni? Non ci avevo mai pensato fino ad oggi, quando siamo stati al telefono per 40 minuti e mi è sembrato di averti raccontato neanche la metà di quello che mi è successo, per non parlare del fatto che mancava tutta la tua parte. Quando hai detto “devo andare”, ho smesso di respirare per raccontarti ancora tutto quello che mi passava per la mente. Ho voglia di condividere la mia vita con te: forse è stato che non mi aspettavo di vederti/sentirti per molto tempo, mi ero un po’ messa il cuore in pace e ieri sera, quando ho visto il tuo messaggio, non so a cosa ho pensato, forse a niente, sarei potuta svenire o avrei potuto mettermi a piangere come poi ti ho scritto, dopo due o tre messaggi monosillabici.

Ti ho scritto una lettera lunedì, a riprova di quello che dicevo al telefono, tutto ha perfettamente Senso, ne riporto solo la parte finale:

“Grazie per esserci stato sempre, grazie per esserci ancora […] Cacchio, sono talmente tante le cose da dirsi, ma mi fermerò qui: le abbiamo tutte impresse nel cuore; siamo diventati così sentimentalisti,  forse lo siamo sempre stati, tentavamo di nasconderlo a noi stessi, fatto sta che penso di aver pianto più in  questo 2014 che in tutta la mia lunga vita da 22enne. Mi sei mancato. Ti voglio bene.”

-Ciao- (aka 400 parole che vorrei dirti)

Foglio Bianco.
Che se mi chiedessero perché mi piaci, non credo sarei capace di rispondere, e allora che razza di storie vado contando?

La realtà dei fatti è che il detto “tanto fumo e niente arrosto” calza a pennello, anche perché un arrosto non sarei proprio capace di farlo.cuore1
Ti direi che mi piaci; che quando ti vedo mi escono quelle risate isteriche e comincia a venirmi caldo; che mi tremano le gambe e che è tutta colpa di questi dannati ormoni; che i miei occhi cercano i tuoi; che capisco quando sei qui perché mi si stringe lo stomaco per tutto il giorno; che passerei la mia mano sui tuoi capelli anche se mi piacciono i capelli morbidi; che questa volta ti sei levato troppe sopracciglia e che quelli che si fanno le sopracciglia non mi piacciono, ma tu sì; che quel maglione blu ti sta proprio bene, ma che ti stava bene anche la camicia e quella maglia con quei colori orrendi; che sei stato bravo l’altra sera ma si vedeva che eri nervoso; che mi piacciono quelli alti e mori, ma mi piaci anche tu; che non sono ancora riuscita a capire che profumo hai; che mi dispiace che ogni volta che ci sei ronzo intorno al tuo spazio vitale come una zanzara fastidiosa; che quella canzone che ho pubblicato su facebook era per te, che ti vorrei regalare un libro e anche più di uno; che ci sono certe frasi che mi ricordano te; che a volte mi sembra di vederti mentre cammino; che mi è venuto in mente di farti un regalo il giorno di Natale, ma era troppo tardi; che quando sono in difficoltà penso a te e mi passa, che anche adesso sei la mia grande distrazione perché non ho voglia di pensare al resto; che è successo che mentre pensavo a te in sottofondo c’era Fedez; che se penso che alla prossima volta passeranno di nuovo due mesi, vado in angoscia; che manca poco al 21 gennaio, e che tu non sai nemmeno di cosa sto parlando; che vorrei offrirti un caffè, ma anche un viaggio a Parigi; che vorrei sapere tutto di te; che vorrei dirti tutto di me; che non voglio essere amata, ma ho voglia di amare te; che ho ancora diciotto parole per dirti che mi piaci, ma che quando sei vicino a me riesco a dirti solo -ciao-.

E finiva così…(aka memoria traumatica e ricordi rimossi)

Avevo scritto proprio un bel pezzo, se ci ripenso, forse era uno dei pochi di cui ero davvero soddisfatta, scritto di getto ma logico. Logico come mi sembrano tante altre cose, poi per un motivo o per un altro l’ho cancellato, ho cercato di trattenerne i rimasugli, ma poi mi sono fermata e l’ho cancellato.
E adesso dico che era proprio un bel pezzo, scritto di getto ma logico. Non era flusso di (in)coscienza, era avvelersi di un’ipotesi che nella mia testa ha un fondamento.
È un gioco brutale, la vita intendo, e se i massimi sistemi del mondo e l’afflizione dell’uomo parla sempre della stessa roba e i romanzi, i film, le canzoni ce la propinano continuamente, un motivo ci sarà.
E gli psicologici esistono per cosa allora?
Che siamo tutti malati mentali, su questo non c’è dubbio, almeno io non ne ho (adesso ci saranno dei puntini di sospensione perchè quello che avevo scritto non potrà mai vedere la luce, ma resterà rinchiuso nel cassetto in fondo a destra, sì, quello laggiù!).
Sto pensando all’accumulo di informazioni che ci sono nel mio cervello, a tutte le righe e le parole che sono passate sotto i miei occhi, sto cercando di racappezzarmi in questo quantitativo infinito di nozioni, ma non mi ci raccapezzo (ma si dice così poi?)
Fatto sta che, ma che fatto? Ma fatto di cosa? Merda, l’unica cosa che balza alla mia testa è una scritta lampeggiante a led che dice “RINVIO ALL’INFINITO” e martella e stordisce.
È gioco brutale, la vita, ma io non sono lucida adesso e non ho i mezzi per combatterla e metto in dubbio (dubbio e sospetto non lasciano possibilità di risposta, io l’ho detto che è un rinvio all’infinito!) la mia fiducia, la mia fiducia nelle cose, nelle persone, nell’amore, nella differenza tra bene e male.
Il mio inconscio ha rimosso cosa avevo scritto in quel post, ricordo qualcosa a grandi linee, ma ricordo che era proprio un bel pezzo, scritto di getto ma logico. O per meglio dire oggettivo (sta qui il pelo nell’uovo, l’ago nel pagliaio, la gabula, il filo del rasoio, il limite o quello che volete).
E finiva così: “la storia è sempre la stessa, e l’uomo dai propri errori non impara mai”.